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Il pubblico è la terza parte costruita per vedere, garantire, applaudire o criticare, giudicare il rapporto tra due parti.

Rappresenta – rende presente – un passo indietro nelle relazioni umane, in extremis è la fine della fiducia nella relazione “privata” tra due parti. Significa la delega a una terza parte; la garanzia del giudizio espressa dall’altro; la perdita della primitività del rapporto a scapito della spettacolarizzazione; la paura di affrontare le proprie debolezze con le sole forze tue e dei tuoi amici più vicini; l’attestazione inevitabile della nostra fragilità. Più pubblica è una cosa, più è fragile la natura stessa della cosa.

Nel caso peggiore, il pubblico rappresenta la delega a terze parti della responsabilità individuale. Nella ritualità del teatro, del cinema, della chiesa, una remissione della responsabilità tramite il rito della falsa partecipazione (in quanto fittizia, facente parte di uno spettacolo) ad un’opera.

Quando il rito, il film, la messa, la scena, è troppo spettacolo, non avviene più un passaggio di consegne fittizie (di responsabilità, di partecipazione, di comunanza) ma una specie di catarsi che fa sì che lo spettatore si senta soddisfatto di aver fatto qualcosa per sé o per gli altri solo con il semplice fatto di avere partecipato al rito. Il rito in tal modo fagocita lo spettatore e lo rende schiavo di un effimero sentimento riproducibile, senza la necessità di rielaborare la consegna.

Quando la distanza tra attore e spettatore diventa troppo ampia, quando il pubblico diventa solamente pubblico, siamo alla morte della relazione tra le parti e della concreta partecipazione al messaggio che può portare all’azione. La mancata soddisfazione rituale può mutarsi in frustrazione, emarginazione. L’avvenuta soddisfazione  genera invece passività e dipendenza. Non bisogna mai cercare soddisfazione in un surrogato. Non bisogna mai essere semplicemente spettatori.

Lo spettatore è colui che aspetta di vedere che cosa succede tra due parti in gioco.

Lo stesso avviene, in forma meno emotiva, nella sfera politica.

Il pubblico è il “dominio del comune” di una terza parte, dominio che bisogna vigilare e concedere solo in caso di necessità e di mancanza di impegno delle prime due parti di una relazione.

Il pubblico è il male minore nel caso di relazioni estremamente complesse. Nelle società è un rimedio necessario che può generare politiche positive se capito come tale, ossia se considerato come mezzo (di cui non si può fare a meno) e mai come fine per mettere in relazioni le varie parti in gioco. Nella consapevolezza del mezzo, il pubblico viene stemperato dalla partecipazione attiva dei cittadini che mantengono “comune” uno spazio che altrimenti rischierebbe di diventare asettico e astratto dalla comunità, uno spazio amministrativo governato dai burocrati.

Capire il concetto di pubblico significa fare un passo in avanti nella civiltà delle relazioni, decretare l’obsolescenza delle res-pubbliche nelle società evolute, dove il potere del pubblico sarà contenuto nella sfera del necessario per favorire la nascita delle res-comuni, configurazione sociale che ha l’obiettivo ideale di sottrarre il dominio di una cosa non-privata alla delega di una terza parte.

Se la nascita del pubblico è giustificata dalla sua funzione di utilità, ciò non giustifica la sua deriva, ossia il suo diventare una forma di “parassitismo sociale” superata una certa soglia di tollerabilità da parte del “comune” senso del dovere,

alberto_peruffo_CC
Alberto Peruffo | Montecchio Maggiore | VI
PRIMA PUBBLICAZIONE 9 DICEMBRE 2015

modifiche //
4 agosto 2021

6 thoughts on “PUBBLICO

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