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Non esiste il conflitto* tra civiltà. Esiste il conflitto tra inciviltà.

La civiltà è il frutto di relazioni positive tra le parti, tra uomini che hanno deciso di vivere insieme nonostante le lontananze e le diversità, nel rispetto della molteplicità. Hanno deciso di vivere insieme su un terreno comune, piccolo o grande che sia, regolato da consuetudini scritte o non scritte, che formano un bagaglio di relazioni che una generazione consegna alla successiva.

*Uso qui conflitto nell’accezione di “guerra” mediante cui viene solitamente propagandato il “conflitto tra civiltà”. Un uso proprio di conflitto vorrebbe invece che esso si applicasse alle piccole cose, all’opposizione possibile, ai bisogni concreti, non allo “scontro” – a volte terribile, totale – che nasce dal confronto tra le idee. È proprio nel confondere le idee, le dottrine, con i bisogni reali, che porta alle guerre. E al relativo abuso del termine conflitto. [sulla declinazione del termine conflitto in tre diverse forme di opposizione, rimandiamo a CLASSE E NON PIÙ LOTTA DI CLASSE]

Propriamente non esiste una civiltà occidentale e una civiltà orientale. Esiste un’unica civiltà delle relazioni, dove progressivamente si possono trovare specificità e dominanze, come possiamo trovare per grande semplificazione una dominanza orientale e una dominanza occidentale.

Ma l’Occidente storicamente determinato che cosa ha di diverso dall’Oriente storicamente determinato? O meglio cosa non ha di diverso? Possiamo pensare oggi una civiltà occidentale senza la numerazione araba o la stampa cinese o le sementi sudamericane, o pensare una civiltà orientale senza la corrente elettrica, senza la radio e le tecnologie sperimentate per la prima volta in Europa? Ogni luogo declina i flussi positivi delle civiltà particolari a suo modo.

La civiltà come concetto generale è un flusso e una sedimentazione di relazioni positive tra le parti che vengono in relazione, a scapito delle relazioni negative che vengono espulse come scorie, relazioni di cui è difficile riconoscere le dominanze e ricordare le provenienze. Nell’espulsione delle scorie – se non riconosciute come tali – può avvenire un vero e proprio conflitto, che a sua volta può generare danni e pregiudizi enormi, fino a giustificare la necessità della guerra, del conflitto guidato da idee, mai da esigenze particolari, prossime ai reali bisogni delle genti.

Che senso ha di parlare di identità culturale europea fondata sulle radici cristiane se all’interno di questa identità ci mettiamo le scorie prodotte dal peggiore cattolicesimo, assassino dei propri nemici (i Crociati), inquisitore e vessatore verso gli infedeli (da convertire con tutti i mezzi), indulgente e aperto alla corruzione nei confronti dei peccatori (ai quali si vendevano le indulgenze, probabile scoria mai completamente espulsa dal cuore del cattolicesimo: l’Italia)? Se la violenza e l’indulgenza tipica del peggiore cattolicesimo fanno parte delle radici identitarie cristiane con cui si vuole caratterizzare la civiltà europea, non si è riusciti a capire il concetto di civiltà e i principi di cui l’Europa o il presunto Occidente vogliono farsi esclusivi portatori. Lo stesso vale per l’identità islamica mediorientale, oggi più che mai scossa dal colore nero del terrorismo, il non-colore che uccide tutti i colori.

La civiltà non ha mai un colore, ma una composizione di colori. E sfumature. E al giorno d’oggi ha poco senso parlare di Occidente e Oriente come civiltà separate. Esse sono due macrogategorie che si compongono di civiltà particolari, parti della quali escono dalla sovrapposizione tra le due grandi e hanno elementi non comuni. Ciò non giustifica il conflitto. Le civiltà, se sono tali, possono solo restare in ascolto tra di loro.

Solo l’isolamento geografico produce culture e genetiche specificamente locali, civiltà e genti autoctone. Venuto a mancare, l’isolamento, nasce la civiltà delle relazioni, l’incontro tra le parti. Ad un livello superiore (delle singole parti) è sempre stato così: un incontro, termine in parte equivalente e primogenito di civiltà. Quando si parla dal punto di vista di una sola parte si tende a scordare il contributo che ha portato l’altra parte per rendere possibile un discorso tra le due parti.

In un mondo senza isolamento e interconnesso, con flussi continui di idee buone (civili) e scorie espulse (idee e pratiche incivili), non ha senso parlare di civiltà separate e in conflitto, ma di una sola unica civiltà delle relazioni in continua evoluzione o involuzione rispetto al suo concetto. Tutto il resto, fanatismo e violenze tipicamente “iperumane”, è inciviltà. Frutto delle scorie delle inciviltà particolari, spesso localizzate per motivi di sopravvivenza culturale.

La civiltà delle relazioni non omologa le parti, ma le aiuta solo ad incontrarsi. Le “identità“, i caratteri tipici delle genti, le coerenze precipue, non sono frutto di idee accolte a priori (le cosiddette “impronte identitarie cadute dal cielo”), ma una complessa composizione di geografia ed eredità genetica declinate nel calderone culturale in cui si matura la propria esperienza: nessuno individuo deve essere soggetto a un’impronta identitaria che non sia il proprio personale percorso di vita. E il percorso implica incontro. Movimento verso l’alterità. E l’incontro con l’altro significa civiltà.

alberto_peruffo_CC
Alberto Peruffo | Montecchio Maggiore | VI
PRIMA PUBBLICAZIONE 28 OTTOBRE 2015
modifiche // 16 novembre 2015
23 settembre 2019

2 thoughts on “CONFLITTO E CIVILTÀ

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