[proposta per la ridefinizione di una scienza, politica]
La post-ecologia ci invita ad uscire di casa. Ad abbandonare la domus, l’oikos, l’addomesticamento a cui siamo stati assoggettati per secoli a causa dei portati peggiori delle diverse civiltà che si sono insediate nei molteplici territori.
La questione territoriale assume nuova forma in prospettiva post-ecologica: i territori non appartengono a noi, ma siamo noi che apparteniamo ai territori, alle terre, alla Terra, per il breve tempo del nostro transito. «I popoli passano, i territori restano», devastati o valorizzati dagli abitanti o dai predoni che sopra sono vissuti o passati.
Se potessimo dare un nome nuovo ad una ecologia che abbandoni la prospettiva domus-centrica tipica delle tradizioni civili di molte parti del mondo, potremmo chiamare questo nuovo approccio «habitatologia» (habitatologie in francese, habitatology in inglese), la scienza dei territori che abitiamo, che “abbiamo” nella nostra transitorietà che il verbo avere trasmette. Abitare è tuttavia qualcosa di più di un semplice transitare. Implica una permanenza, anche se temporanea. Una permanenza rispettosa. In altri testi*, abbiamo usato il verbo “surfare” – da superficie – come verbo di contrasto all’abitare rispettoso.
Con la post-ecologia il potere esagerato della casa perde finalmente peso. La casa non deve essere più l’opera “immonda” – che separa e ci separa dal mondo – che toglie vita e lavoro a chi la abita, il palazzo delle proprie illusioni e dei propri piaceri, ma un habitat “privato” in armonia e forte relazione con l’habitat comune.
L’habitatologia toglie al prefisso “eco” l’abuso capitalista fatto continuamente nelle pratiche di greenwashing [v. CAPITALISMO VERDE]. Non potremmo più chiamare “habitatologico” ciò che spesso definiamo ecologico o ecosostenibile, come una fabbrica che inquina i propri territori e compra quantità di ossigeno in altre parti del mondo per compensare l’inquinamento in loco e/o il proprio esagerato consumo di CO2, spacciandosi in tal modo come ecologicamente a posto grazie a questa dissociazione latente.
L’habitat è diverso non solo dall’oikos, dalla casa, dalla domus, dalla villa, che ricorda un potere privato, ma pure dall’ambiente, che è tutto ciò che circonda e si dissocia dal privato, dall’origine sociale di ogni relazione politica. L’habitat conserva infatti un rapporto biunivoco, a doppia mandata, tra soggetto e oggetto. Una relazione sociale (sia intraspecie, sia interspecie). La casa potrebbe esistere anche senza l’ambiente, in un “clima” dissociato (vedi grandi città iperartificiali), come l’ambiente potrebbe esistere anche senza sapere cosa avviene nelle case (v. crimini domestici, sociali), come spesso accade nelle nostre società che mettono al di fuori del proprio pensiero d’azione ciò che non è dentro al proprio spazio abitativo privato, o pubblico. L’habitat invece è lo “spazio abitativo comune”, oggetto di attenzione comune, né privata né pubblica. Esso è come il concetto di comune, quando lo distinguiamo dal privato e dal pubblico. Il soggetto non può esistere senza l’oggetto, senza relazione con esso. Una relazione tanto forte che fa sparire lo stesso oggetto come oggetto dissociato e lo fa diventare soggetto carico di significato e di riconoscimento.
L’habitat è lo spazio comune tra i viventi e i non-viventi ed esce dall’epistemologia dell’oikos, dalle sfere concettuali dell’ecologia e dell’economia. Dalla logica del dominio degli spazi. Fare habitato-nomia non è fare economia. L’habitat, essendo uno spazio comune, ha bisogno di cura collettiva, di intreccio, di scambio che sia anche dono, non solo competizione, quindi cooperazione e lavoro spesso gratuito per il solo piacere di percepire l’armonia tra gli abitanti, tra gli elementi.
L’habitat(o)-logia è un lemma, concetto, provocatorio, per uscire dall’ecologia, dal suo essere post, e diventare premonitrice. Preconizzatrice di nuove pratiche di armonie tra i viventi e i non-viventi. Dio e altre entità legate al domus, al dominus, al dominante, non hanno mai abitato la terra. Dunque, se non come anelito del finito, abitano solo nel nostro pensiero (o “nei cieli”) e non possono interferire con le loro – quelle di chi le ha pensate – pratiche di dominio sugli abitanti della terra. È giunto il momento di dare il loro posto a queste creature che per certi versi hanno contaminato il brodo prepolitico di maggior parte dell’umanità, con conseguenze per tutti i viventi.
Nella terra evocata dal concetto di habitat il dominio non ha presa, perché saltano le fondamenta di ogni palazzo, di ogni casa fondata sulla pre-potenza, sulla potenza a priori. La casa a misura d’uomo/donna si costruisce con le proprie mani, dal basso, conoscendo simbolicamente la propria terra e i suoi abitanti.
Questa potrebbe quindi essere la «habitatologia», un nuovo approccio alla scienza ecologica e un nuovo programma politico già espresso nell’etimo del suo stesso concetto. In altre parole, l’«ecologia» è troppo umana, e bisogna abbandonarla, transitando per la post-ecologia e approdare alla «scienza dell’habitat», dello spazio comune, dove il conflitto tra esseri prepotenti – gli umani e le loro idee di dominio – è stato bandito.

Alberto Peruffo | Montecchio Maggiore | VI
PRIMA PUBBLICAZIONE 9 NOVEMBRE 2021
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HYPERLINK CITATI E DI APPROFONDIMENTO
>> AUTONOMIA TERRITORI POPOLI | NCPP
>> CAPITALISMO VERDE | LABORATORIO POLITICO DI ECOLOGIA
BIGLIOGRAFIA essenziale
*Peruffo, Alberto. 2019/2021. Non torneranno i prati. Cierre Edizoni.